335 7569647
Seleziona una pagina

Doppiozero, 4 Febbraio 2024

Laura Porta

 

 

Ci viene insegnato a non dire bugie, ma davvero è possibile dire sempre la verità?

Il saggio di Alberto Siracusano “Perché mentiamo. Cosa nascondono le bugie”, si addentra nelle innumerevoli vie che può intraprendere la menzogna, ci orienta nel labirinto delle falsità e ci aiuta a capire il mondo dei bugiardi, facendo riferimento a personaggi storici, film e opere letterarie.

Questo libro si sviluppa attorno alle cause e alle complesse conseguenze del mentire, pur senza esaurirne le molteplici sfaccettature, partendo dal presupposto che la vita umana, nella sua complessità, esige sempre una qualche forma di finzione o maschera sociale.

Mentire deriva da mens, mente, e fa riferimento alla capacità di usare la mente per fingere, per alterare la verità.

Ma esiste anche un’etimologia fantasiosa di menzogna, inventata dai Trovatori cortesi del XII secolo: mensonge da mens e songe, mente e sogno, in cui il mentire è un’azione combinata tra la mente cosciente e la mente inconscia, cioè il sogno. Freud ci ha insegnato che l’Io non è padrone in casa propria, che il nostro pensiero cosciente e il nostro mondo interno possono trovarsi in conflitto. Ciò significa che possiamo decidere consapevolmente di mentire per essere accettati dagli altri, per mostrare un’immagine di noi più adeguata alle aspettative altrui, ma non sempre questa operazione ci riesce: l’inconscio può tradirci mostrando i nostri desideri più reconditi. Come lo fa? Attraverso le nostre “cadute”, i nostri lapsus, i nostri atti mancati, le nostre dimenticanze. Ciò dovrebbe farci prendere atto della discrepanza tra la nostra volontà dichiarata e il nostro reale desiderio inconscio. Spesso, invece, le nostre istanze inconsce sono rigettate, soffocate, ostinatamente rifiutate.

Una certa dose di menzogna è intrinseca all’esistenza umana, sarebbe impensabile una vita sempre e solo nell’ordine della sincerità, anzi, sarebbe segno di patologia. Come per esempio nell’autismo, dove l’impossibilità a essere insinceri è una caratteristica che può divenire sconveniente, imbarazzante e rischiosa, limitando pesantemente le prospettive di vita e relazionali.

Come scrive Belpoliti: “tutti i rapporti interpersonali si fondano sulla conoscenza gli uni degli altri. Tuttavia, come si sa, non esiste una conoscenza corretta degli altri. A orientare i nostri comportamenti è infatti un miscuglio di verità, errore e ignoranza; mescolate insieme, in percentuali diverse, queste tre cose ci forniscono quotidianamente le regole per il nostro agire pratico, cui poi si aggiunge la “menzogna esistenziale”, ovvero quel tanto di autoconvinzione, d’illusione, di cui abbiamo bisogno nei confronti di noi stessi per continuare a comportarci come ci comportiamo”.

C’è una finzione necessaria per vivere, per essere socialmente accettati, ma esiste anche la menzogna deliberata, seriale, strategica e perpetuata.

Si mente perché si vuole far credere di essere migliori di quello che si è, con la menzogna si possono vivere vite affettive parallele. C’è chi dice bugie per paura, chi per vergogna, chi per sfida, chi per acquisire controllo e potere, chi per gioco. Si mente per insicurezza oppure per mancanza di fiducia nell’altro.

Scrive Siracusano: “Secondo Sant’Agostino, il bugiardo ha un cor duplex: si può definire bugiardo solo chi dice il falso in modo intenzionale per nascondere il vero, e non chi lo dice per gioco o per ignoranza. Il bugiardo è chi vuole ingannare l’altro per raggiungere un obiettivo, chi cerca di far passare per vero il falso. Sant’Agostino elenca otto gruppi di bugie in base alla loro gravità, (in ordine decrescente): 1) menzogne religiose; 2) menzogna maligna attiva, per far danno a qualcuno senza favorire nessuno; 3) menzogna maligna passiva, per godere dell’inganno e averne un vantaggio; 4) menzogna pura, solo per godere nel mentire; 5) menzogna motivata dal desiderio di piacere, con funzione sociale e relazionale; 6) menzogna benevola innocente, per ottenere dei benefici materiali senza danneggiare nessuno; 7) menzogna necessaria per salvare la vita di qualcuno; 8) menzogna per salvare la purezza e la castità”.

Il pensiero bugiardo è la prima forma di pensiero, perché l’essere umano viene al mondo con un tempo prolungato di prematurità che lo rende più di altri esseri viventi alienato, dipendente dall’altro. Questa dipendenza dall’altro lo ingloba nell’acquisizione di gesti, pensieri, usi, costumi e linguaggio, in modo mimetico.

Come scrive Claudia Baracchi nel suo recente saggio su Aristotele (Feltrinelli 2023), l’umano è l’animale più imitativo, dove l’imitazione può essere intesa come “pratica del divenire e del tramutarsi, arte di stare nell’azione e nel patire dell’altro, così da comprenderne la natura e le motivazioni profonde come forse non sarebbe diversamente possibile”; l’imitazione, la finzione, la mimesis sono dunque pratiche con delle possibilità creative, conoscitive ed evolutive. Trovare la misura tra l’alienazione e la disalienazione all’altro è un processo in continuo divenire.

Un altro aspetto della bugia è quello di aiutarci a capire noi stessi e il mondo attraverso il percorso che va dalla scoperta della bugia alla scoperta della verità. Comprendere perché mentiamo può permetterci di capire qual è la verità alla quale vogliamo sfuggire.

Fa parte della sintonizzazione affettiva genitoriale la capacità di intuire le bugie dei figli, valutando se e quando smascherarli, ma per fare questo è necessario liberarsi dagli eccessi delle aspettative narcisistiche nei loro confronti. Come afferma Recalcati, rispettare il segreto del figlio è un atto di grande responsabilità genitoriale.

La verità è qualcosa di difficilmente definibile e inquadrabile in un concetto univoco: nel momento in cui si cerca di afferrarne il senso più profondo, essa ci sfugge, come nel film di Kurosawa Rashomon, dove la ricostruzione di una vicenda criminale e delittuosa attraverso tre diversi racconti mostra l’impossibilità di ricostruire in modo preciso ciò che è veramente accaduto. La realtà storica è andata definitivamente perduta, in quanto filtrata dall’emotività, dalle percezioni e dalle narrazioni dei singoli testimoni. Per questo la verità è definita a volte oggettiva, a volte relativa, essa sta nell’occhio di chi guarda.

In psicoterapia, capire perché riteniamo così importante un nostro segreto può permetterci di conoscere meglio noi stessi, può aiutarci a superare le nostre fragilità.

Numerosi esempi tratti dall’esperienza clinica dell’Autore esemplificano il rapporto tra segreto e verità in psicoterapia, con un capitolo molto interessante anche sul ciclo di vita: dall’infanzia all’età anziana. Sono molto diverse le bugie infantili da quelle dette in età adolescenziale o adulta, oppure da quelle dette nella vecchiaia, magari causate dalla volontà di mascherare un inizio di demenza senile.

Interessante anche l’approfondimento su come il segreto abbia una forte parentela con il trauma: a volte l’indicibile è ciò che pesa nella storia soggettiva o familiare, non tanto perché intenzionalmente taciuto, ma perché impossibile da dire e da sopportare.

Del resto, come affermava Jacques Lacan: “La verità è l’errore che fugge nell’inganno ed è raggiunto dal fraintendimento”: dire tutta la verità è impossibile, mancano le parole, c’è una distanza strutturale tra il nostro inconscio e la nostra coscienza. Nessuna comunicazione, nemmeno la più onesta e con le migliori intenzioni, arriva a dire tutta la verità, credere di poterlo fare è un’ingenuità.

La psicoanalista Helene Deutsch ha descritto un particolare tipo di personalità in cui il mentire e il non essere in connessione con la propria verità più profonda arriva al paradosso, costruendo una personalità come se, mettendo a punto il concetto di falso sé. Si tratta di persone che suscitano nell’interlocutore l’impressione che il loro modo di essere manchi di genuinità, e tuttavia che ciò sia per loro del tutto normale. Scrive Siracusano: “Questi individui si caratterizzano anche per una disposizione passiva verso l’ambiente e una capacità di modellarsi alle aspettative nei loro confronti, come se mancasse completamente o fosse inafferrabile il loro carattere autentico. Si mimetizzano nell’ambiente esterno in modo perfetto, riuscendo così a cambiare aspetto, forma, ideali, a seconda del contesto in cui si trovano, tradendo inconsapevolmente se stessi e gli altri con cui erano un momento prima in sintonia. La menzogna in questo caso è rappresentata dalla capacità di mimetizzarsi perfettamente in qualsiasi contesto, in modo del tutto inautentico e senza alcuna coerenza con sé stessi”.

Per lo psicoanalista Wilfred Bion, la bugia è il pane quotidiano dell’analista, che può riconoscerla e rispettarla, poiché le formulazioni false sono mantenute “come una barriera contro affermazioni che condurrebbero a un tumulto psicologico”. La verità, secondo Bion, ha carattere performativo, è capace cioè di operare trasformazioni. L’analisi è un processo veritativo che aiuta il paziente a divenire sé stesso.

Il campo dell’inganno è costituito da una rete estremamente articolata e complessa di concetti diversi tra loro: falsità, verità, bugia, omissioni, finzione, manipolazioni e molti altri ancora.

La capacità di mentire deliberatamente e serialmente è anche legata a una gestione particolare dell’emotività, i mentitori seriali sono meno in preda all’ansia e alla colpa per l’inganno che mettono in atto; quindi, se dire una bugia all’inizio innesca uno stato ansioso o di colpa, con il tempo, se si continua a mentire, si perderanno questi sentimenti frenanti e si potrà mentire senza scrupoli.

Particolarmente interessante il capitolo sulle bugie virtuali o fake news, dove vediamo come l’ambito dell’invisibilità garantito dalla rete slatentizzi e faciliti collettivamente la capacità di mentire.

Gli esempi sono innumerevoli, dal cyberbullismo alla costruzione falsa di notizie, dalle identità virtuali alle comunità di persone che comunicano a partire da identità segrete, dai ritocchi della propria immagine per mostrare un profilo migliore, al fenomeno delle truffe virtuali, l’elenco è ricco e fa riflettere sul ruolo della verità e della finzione nell’epoca dei social media.

Infine, un capitolo sui malati di menzogna, dove viene evidenziato come le persone più inclini al pensiero bugiardo siano gli individui con forti tratti narcisistici, persone per cui, per parafrasare Recalcati, la menzogna, come l’odio, diviene una carriera senza limiti. Interessante a questo proposito è il film Prova a prendermi, ispirato alla storia vera di uno dei più ingegnosi truffatori della storia.

La psicopatologia della bugia può avere conseguenze devastanti sulle sfere affettive e relazionali, incrinando la fiducia accordata da parte delle persone vicine, rendendo ancor più dolorosi i suoi effetti. Scrive l’Autore: “Protagonisti ne sono i traditori, gli impostori, i sociopatici, gli psicopatici, i narcisisti maligni. Tutti mentitori, ma ognuno con un suo modo di mentire: per raggiungere uno scopo, per invidia, per gelosia, per andare contro regole che non vogliono rispettare, per procurarsi ingiustamente un vantaggio”.

L’immagine che ne emerge è dunque quella di un nucleo originario di alienazione a cui l’essere umano è destinato, potendo scegliere però se perpetuare all’infinito questo dedalo di menzogne e di finzione, mettendo a rischio sé e gli altri, oppure perseguire un percorso di autenticità. Questa scelta è sempre rinnovabile, va decisa giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, a causa della complessità degli esseri che noi siamo.

Questo sito prevede l'utilizzo di cookie tecnici. Non sono presenti cookies di profilazione. Maggiori informazioni

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close